Stelle di Giuseppe Ungaretti, 1927
Non so se questa meravigliosa poesia di Ungaretti sui sogni e nuovi inizi fosse nota a Schifano, pur essendo molto vicino e amico del grande poeta, ma nelle opere che appaiono in questa mostra sembrano esserci tanti riferimenti.
Si inizia con Compagni compagni, un’opera essenziale, ipnotica nel suo rosso saturo, assoluto, la favola che arde, la rivoluzione. Ma presto, nella sua versione bleu, apparentemente gioiosa e leggera, la disillusione fa capolino nel cielo e al posto del colore, simbolo del fascino della contestazione, appaiono le foglie che cadono al primo vento, insieme ai nuovi ideali.
Le foglie sono presenti anche tra le stelle sotto cui, gli amanti/compagni, testimoni di una nuova parità, di una nuova uguaglianza, si baciano tra due palme, in uno scenario simmetrico, teatrale. Schifano crede e non crede; con anima e senz’anima.
Il protagonista di Sulla strada di Kerouac alla fine dell’avventura si ferma a guardare le stelle: così appare Inevitabile viaggio a Marrakesh, e nell’aggettivo scelto per dare inizio al titolo ritroviamo nuovamente l’ironia di Schifano.
La “stanza delle stelle” è il luogo dove nascono i sogni: un universo di stelle che brillano, sono attraversate da scariche di segni di energia che danno origine a nuove stelle e a nuovi inizi, a portali che si aprono sull’ignoto della nostra conoscenza.
Vi sono poi le oasi bellissime, che rimangono rifugi isolati: una risplende nella notte buia, un’altra è illuminata dal colore di quella rivoluzione che faceva tanto sperare, una è arsa dal sole nel suo colore “infernale”, infine le ultime, come abbagli, sembrano ormai miraggi nel paesaggio.
Le diapositive proiettate al Piper, le proiezioni in Satellite, le immagini di quello che entra nella nostra vita, nella nostra casa: tutto viene contaminato dalle stelle, a ricordarci che in questo continuo alternarsi di sogni e delusioni, battuti e beati, abbiamo bisogno di punti luminosi, di rinnovate speranze non appena avvenga un altro soffio, uno scintillamento ad alimentarle nel cuore.
Monica Schifano
Il curioso titolo della mostra – Compagni in un’oasi sotto il cielo stellato – deriva dall’unione di tre titoli diversi, appartenenti ad altrettanti cicli pittorici di Mario Schifano (1934-1998), tutti nati tra il 1966 e il 1968.
“Compagni compagni”, “oasi” (più comodamente definite “palme”) e “tutte stelle” identificano infatti gli stati d’animo, le osservazioni, la partecipazione tumultuosa a quegli anni di contestazione e di rinnovamento radicale delle aspirazioni giovanili e del costume.
C’è l’idea del viaggio e della fuga in luoghi esotici e non contaminati – le “oasi” –, l’irruzione del sociale e del politico nella vita di tutti i giorni – i “compagni” –, e la psichedelia del fluttuare tra le stelle, che non sono più uno sfondo, ma il primo soggetto dell’opera.
Aver messo insieme i tre soggetti, cosa criticamente mai azzardata prima, crea un ulteriore spunto per una narrazione che alla fine evidenzia la complessità di un periodo storico oscillante tra modelli estremi – la rivoluzione politica di massa e la rivoluzione individuale del comportamento –, e la capacità emotiva e linguistica dell’artista, uno dei pochissimi in grado di sintetizzare una tale mole di sentimenti contrastanti.
Da notare assolutamente la presenza in mostra di numerosi inediti: due palme del 1967-68, il piccolo Compagni del 1968 e in particolare le due grandi opere, realizzate entrambe nel 1967, Inevitabile viaggio a Marrakesh e la stanza Tutte stelle – realizzata per Patrizia Ruspoli, a Roma, e qui ricostruita nelle misure originali – che costituiscono due pietre miliari della storia artistica e del costume italiani, e non solo.
Marco Meneguzzo
archivio@marioschifano.it